All'inizio fu il BULLO, il figlio del bullo si chiamava COATTO; il nipote TAMARRO.
La mamma del BURINO è sempre incinta.
Nel senso che il tempo passa, le mode cambiano, ma quel personaggio sopra le righe, arrogante, apparentemente spavaldo, così ridicolo da suscitare compassione, non tramonta mai!
Suo antenato era il GUAPPO, ma dovremmo andare troppo indietro nell'albero genealogico.
Partiamo invece dal BULLO.
L'immagine l'abbiamo tutti negli occhi: immediato dopoguerra, gli americani sono andati via da poco e il ragazzotto di periferia, affascinato da quei giovani che sprizzavano libertà e ricchezza, cerca a modo suo di scimmiottarli.

Passano gli anni e la generazione successiva conquista le quattro ruote.
Partiamo dalla base su cui l'artista opera: generalmente trattasi di Fiat seicento; ma lui corregge: "setteccinquanta!" E, per fugare dubbi, applica la scritta 750 sul cofano motore posteriore. Meglio se sollevato: pare che corra di più così. Guarnisce il tutto con marmittona Abarth e striscione colorato; in caso di indigenza con nastro adesivo. L'aquilotto sul cofano è a discrezione, come pure la coda del tigre attaccata all'antenna.

Prima riveste il volante col pellicciotto o con lo "scubidù", poi :via il goffo volante di serie, sostituito da modelli sempre più piccoli; che per curvare serve il cacciavite.
Il cruscotto viene ornato da foto della fidanzata cotonata o dei figli, i coattini piccoli, con la scritta "papà non correre".
I sedili: se è scapolo corre l'obbligo che siano reclinabili, non si sa mai! Se ha famiglia si fa ricamare cuscini stile chippendale dalla consorte; da poggiare su foderine fantasia.
Il lunotto posteriore diviene una vetrina dove esporre l'immancabile coppia di cagnolini con testa oscillante.
Quando uno dei coattini della foto sul cruscotto diventa grande si fa "il vespino". E inizia la sua storia di periferia.
Si chiama vespino, ma è quasi sempre 90cc.
Lo si guida con lo stivaletto a punta distrattamente appoggiato fuori della predella, camicia sbottonata su torace peloso e catena similoro da sei etti.
La targa non esiste ancora e questo è un benefit assai utile nei rapporti con "madama"(leggi Polizia).
A diciott'anni passa con maggior facilità rispetto a prima al "mezzo".

Con un "millante de benza" la domenica va a Ostia. O al Luna Park dell'EUR. O sfrutta i soliti sedili reclinabili e, con l'aiuto della leva del cambio furbescamente accorciata, ... passa sul sedile di destra. "Amò, ce vedono!"
Frutto di quel passaggio di seduta è il TAMARRO dei giorni nostri. A due e/o quattro ruote.
E' strano come si sdoppi l'immagine: se va in auto ama circondarsi di pupazzi di peluche attaccati a ventosa su ogni finestrino, che pare la macchina di Barbie.
Quando invece si muove su due ruote ritorna maschione dalla bandana alla punta dello stivaletto. Sempre a punta. Come nonno e papà.
Il coatto contemporaneo non è più un modello subalterno: è un protagonista della scena sociale, un personaggio da imitare, un esempio di successo. Addirittura uno stimolatore di tosta virilità in un’epoca che ha rimosso la fisicità maschile.
E Roma, con questi neo-coatti, spurga i meteorismi di quel che ha nel ventre: Gioacchino Belli e Trilussa, catacombe e studi di Cinecittà, “Un americano a Roma” di Alberto Sordi e “Accattone” di Pasolini, Bombolo e Jimmy il Fenomeno, Califano e Thomas “Monnezza” Milian, Mario Brega e Lando Buzzanca, Er Patata e Rodolfo Laganà.
Il tempo passa, le mode cambiano. Solo il COATTO non cambia mai!
P.S:
Definizione storico/sociologica del "coatto"
Origine
Il termine coatto si origina intorno agli anni ’60 del XX secolo nelle periferie e nei quartieri popolari romani. In origine indicava pregiudicati costretti da processi in corso o sospensione condizionale della pena ad una forzosa inattività criminale; "non posso, so’ coatto" era la loro tipica risposta a proposte di attività illecite, attività che dovevano rifiutare coatti, ovvero costretti per non perdere i benefici carcerari o peggiorare la loro posizione processuale.
Sociologia
Il coatto tipico di quei tempi era un individuo di giovane età, che stazionava intere giornate davanti ai bar di periferia con moto giapponesi di grossa cilindrata, in quei tempi chiamate maximoto, parlando ore ed ore di donne, calcio e motori per riempire il vuoto dell'inattività forzata. Il loro abbigliamento era ostentato e pacchiano, pantaloni svasati a campana e senza tasche, camicie floreali e capelli lunghi tagliati con il rasoio per scimmiottare i cantanti di successo del momento. Sfogavano spesso la loro repressione usando un linguaggio volgare ed angariando i soggetti più deboli. Spesso traevano sostentamento ed alloggio dai genitori o sfruttando la propria compagna. Disprezzati dapprima dalla criminalità organizzata negli anni '70 furono da essa utilizzati come bassa manovalanza per lo spaccio capillare dell'eroina con effetti devastanti sul tessuto sociale dei quartieri popolari e delle borgate.
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